La Fabbrica dei Sogni è la fabbrica che abbiamo sognato, ossia quel lavoro vero che nel Sud è stato sempre un miraggio e non si è mai realizzato appieno perché si è sempre aspettato dal di fuori, da un altrove troppo lontano e forse troppo distratto.

La Fabbrica dei Sogni, dunque, dobbiamo metterla in piedi da soli.

Ma è anche la fabbrica dove si producono sogni, dove la creatività e l’immaginario hanno diritto di cittadinanza. La creatività non è fantasia; è la capacità di fare qualcosa che prima non c’era, di trovare risposte nuove a problemi comuni, di innescare processi. È un modo, uno dei più concreti, di stare dentro la realtà.

Quanto al sogno, per chi studia e analizza la psiche, il sogno è una chiave per accedere alla verità più profonda anche se scomoda. Aprire le porte al sogno significa dunque avere il coraggio di guardare, ascoltare e lasciar emergere un’energia che cerca di prendere forma. Nel raccontare un sogno, anche il più insignificante, si adopera un linguaggio poetico.

”Mi accendo quando mi spengo” dice Andy Warhol.

Per noi fabbricare sogni è mantenere viva la capacità di spegnere i rumori di fondo, le intimidazioni, la pubblicità incessante che cercano di ottundere le nostre capacità più preziose.

Il sogno ha un potere liberatorio e saggiamente sovversivo: aiuta a capovolgere i luoghi comuni con i quali conviviamo più per abitudine che per convinzione e a capire che le soluzioni sono a portata di mano e sono di una semplicità disarmante: costano solo molta fatica.

Ad esempio: una persona cosiddetta “svantaggiata” rappresenta per sé, per la famiglia e la società un problema; però se la si vede non come “portatrice di handicap” ma come portatrice di umanità e di luce, il “problema” ci indica anche la soluzione, che non può essere certo l’esclusione perché la marginalità, oltre che ingiusta per chi la subisce, è anche improduttiva e insostenibile per la comunità.

La via che vogliamo percorrere, quella del lavoro e della condivisione, non ci sembra un’illusione: è un sogno.